PMI e maturità digitale: la sfida continua

Solo il 26% delle imprese è pronto a sfidare i mercati mondiali con processi produttivi digitalizzati: è quando emerge dalla ricerca nazionale dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, presentato durante la fiera A&T

di Claudia Dagrada

Va bene, ma potrebbe andare meglio: semplificando si potrebbe sintetizzare così l’attuale relazione tra il mondo delle PMI italiane e i processi di innovazione e digitalizzazione 4.0. Lo scorso febbraio la fiera A&T di Torino, in collaborazione con l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, ha presentato durante la giornata inaugurale una ricerca su un campione di circa 1.500 PMI (rappresentativo delle 200.000 totali), focalizzata sulla maturità digitale del tessuto produttivo italiano. Partiamo dal presupposto che le aziende con un numero di addetti tra i 10 e i 249 rappresentano numericamente solo il 5% del totale delle imprese italiane, ma da sole generano il 41% dell’intero fatturato del nostro Paese: appare evidente che una bassa propensione al 4.0 impatti in modo significativo sull’economia locale e sulla competitività internazionale. Dall’analisi emergono chiaramente dati preoccupanti: solo il 26% delle piccole e medie imprese nostrane è pronta a sfidare i mercati mondiali potendo contare su tecnologie avanzate e processi produttivi digitalizzati. Questo nonostante 9 imprenditori su 10 considerino l’innovazione e la visione 4.0 necessari per lo sviluppo del business aziendale.

Quali sono i freni che ostacolano lo sviluppo tecnologico?
A frenare lo sviluppo tecnologico delle PMI italiane ci sono diversi fattori, come ha sottolineato Giorgia Sali, ricercatore senior dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, che ha curato e presentato la ricerca all’Oval Lingotto: “Manca la reale volontà di innovare da parte degli imprenditori italiani. Le previsioni di investimento in processi digitali nel 2020 parlano di stagnazione e in alcuni casi anche di contrazione rispetto all’anno appena trascorso, confermando una visione di sviluppo in ottica 4.0 ancora troppo timida”. Secondo Giorgia Sali, la reticenza ad allocare investimenti in digitalizzazione è spiegata da una parte da una visione imprenditoriale che guarda più al breve che al medio lungo termine, dall’altra dalla presenza di alcuni elementi di freno, come i costi di acquisto dei servizi digitali percepiti come troppo elevati (27%), la mancanza di competenze e di cultura digitale nell’organizzazione (24%), lo scarso supporto da parte delle istituzioni (11%).
Su quest’ultimo punto, si riscontra anche una scarsa conoscenza da parte di chi guida le aziende degli incentivi messi in campo dal Governo, in particolare nel Centro e Sud Italia: si è rilevato che ad esempio il 68% degli imprenditori non è aggiornato sui voucher consulenza in innovazione promossi dal MISE.

Il concetto chiave del 2020: investire nelle competenze
Dunque serve crederci di più investendo in tecnologie e persone. A tal proposito la ricerca ha messo in luce un altro punto cruciale legato allo sviluppo tecnologico delle PMI nostrane: le competenze.
Per il 44% delle aziende medio piccole, il presidio delle aree ICT e Digital è del Responsabile IT il quale, nella maggioranza dei casi, è impiegato a gestire attività non innovative, ma di manutenzione ordinaria dei sistemi informatici. Solo nel 20% dei casi è presente negli stabilimenti un Innovation Manager che porta avanti le attività legate a percorsi di innovazione, di prodotto o di interi processi aziendali.
Il 18% delle PMI ha invece una figura dedicata a uno specifico ambito del digitale o a un singolo processo, ad esempio un responsabile della sicurezza informatica, un eCommerce Manager oppure un Data Scientist, senza però avere un presidio generale che coordini le progettualità in maniera centralizzata. Infine, il 18% non ha alcuna figura dedicata.

L’outsourcing per supplire la mancanza di risorse interne
Esiste quindi un eccessivo frazionamento di competenze e di ruoli che operano all’interno dei processi tecnologici delle imprese, e in molti casi servizi e opportunità digitali strategici in termini di competitività vengono esternalizzati, come ad esempio l’e-commerce, il CRM, le piattaforme web. La scelta dell’outsourcing deriva dalla difficoltà di acquisire competenze ad hoc in azienda, dalla ciclicità delle progettualità digitali (soprattutto in caso di sviluppo di una nuova piattaforma) e dai costi legati all’aggiornamento e alla formazione delle risorse dedicate. Coerentemente, sono ancora poche le realtà in cui sono presenti iniziative di formazione strategica su tematiche digitali. La maggior parte opta per attività “informali”, ossia demanda all’iniziativa del singolo la scelta di formarsi sui temi in oggetto, o per semplici campagne di sensibilizzazione: ad esempio, nel 2019 il 41% ha investito sulla formazione di base relativa all’analisi dei dati e il 65% ha svolto attività di sensibilizzazione (dall’invio di newsletter informative alla fruizione di corsi verticali) su tematiche legate alla cybersecurity.

Scetticismo e preoccupazione per la sicurezza dei dati aziendali
Il 28% delle piccole e medie imprese italiane svolge analisi di dati in maniera strutturata, ma meno del 10% svolge analisi avanzate sfruttando i big data, valore che mostra uno spiccato divario rispetto alle PMI europee.
Per quanto riguarda l’utilizzo dei sistemi in Cloud Computing per lo storage delle informazioni aziendali, i numeri crescono se si parla di grandi imprese, non decollano invece nelle medie e piccole, tra le quali solo il 30% utilizza queste tecnologie. Il principale ostacolo è riferito, in quest’ambito, alle preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e delle applicazioni, una resistenza culturale difficile da superare.
Infine, un dato veramente preoccupante: il 61% dei piccoli imprenditori non ha mai sentito parlare di soluzioni di Internet of Things per l’Industria 4.0, e quelli che hanno provato a investire su questo asset centrale per efficientare i processi mantengono scetticismo per via di una difficoltà oggettiva nel misurare nel breve periodo gli investimenti compiuti.
Nel Nord-Ovest italiano, dove risiede il 32% delle PMI, esiste un alto livello di maturità digitale relativa a specifici processi interni (è ad esempio più elevato che in altre aree geografiche il grado di adozione di sistemi gestionali e di tecnologie IoT), ma guardando a un processo di innovazione a 360° i dati preoccupano: il 13% non ha nessuna figura che si occupi delle tematiche ICT e digital, il 32% non adotta soluzioni di cybersecurity, il 20% non ha un sito web.

Aprirsi alle nuove tecnologie e investire in formazione
Ha dichiarato Luciano Malgaroli, Ceo della fiera A&T: “Oltre il 70% delle PMI italiane, dal nostro osservatorio di fiera specializzata è consapevole che occorre investire in innovazione e digitalizzazione per affrontare le sfide della competitività globale.
Gli imprenditori hanno ben presente che serve una strategia industriale inclusiva, che consideri l’innovazione centrale in tutto il processo produttivo”. Per Luciano Malgaroli occorre aprirsi alle nuove tecnologie, investire in formazione, sdoganarsi da visioni soggettive di breve periodo e scegliere sistemi innovativi abilitanti di medio lungo termine.
In sostanza, è necessaria non solo un’agenda industriale che spazzi via la paura degli imprenditori e consegni al Paese un asset produttivo coraggioso e innovativo, ma anche fare chiarezza e raccontare cosa e come fare, concretamente, per permettere a chi guida o gestisce un’azienda di investire correttamente e capire quali tecnologie servono realmente.