Nuove sfide per l’economia europea

Cambiamenti dello scenario politico, nuovi dazi, gestione dei rapporti
con la Cina: sono numerose le variabili con cui le imprese italiane devono fare i conti, tra la domanda internazionale che potrebbe ridimensionarsi e la debolezza del mercato interno

di Renato Uggeri

La manifattura mondiale sta uscendo da una lunga fase di sviluppo avvenuta nel segno della globalizzazione. Il tramonto di questa fase, che aveva visto affermarsi una visione multilaterale degli scambi internazionali e una progressiva liberalizzazione dei mercati, pone le economie industriali di fronte a percorsi inediti.
L’Italia, in particolare, si trova di fronte a un nuovo contesto, in cui il sostegno garantito dalla domanda internazionale rischia di ridimensionarsi, riproponendo la questione di un mercato interno strutturalmente debole. Spicca la persistente debolezza della domanda di investimento, penalizzata dal crollo della componente pubblica dedicata alle infrastrutture. Ma la stessa componente privata, pure sostenuta dalle politiche di incentivazione in chiave 4.0, risente a sua volta del clima di crescente incertezza.
Nonostante la contrazione dei livelli di attività subita negli anni della crisi, e il crescente diffondersi dello sviluppo industriale verso nuove aree economiche, l’Italia era nel 2018 ancora la settima potenza manifatturiera del mondo. A questo ruolo ne corrisponde uno altrettanto rilevante dal punto di vista della capacità di esportare, che ci vede al nono posto nel mondo.

I risultati delle elezioni europee: aumentano gli euroscettici ma…
In questo quadro economico si sono recentemente svolte le elezioni europee, che alcuni osservatori indipendenti hanno classificato come la tornata elettorale del “sì, ma”. Infatti, gli euroscettici sono cresciuti (trionfando addirittura in alcuni Paesi), ma non sono riusciti a ribaltare la maggioranza del Parlamento europeo: i partiti tradizionali hanno perso consensi pressoché ovunque, ma la maggioranza a Strasburgo per adesso pare destinata a restare nelle loro mani. Vi è poi stata una buona prova delle nuove formazioni tendenzialmente pro-Ue, ma non dappertutto. Infine, il Regno Unito avrebbe dovuto essere fuori dall’Ue da due mesi, ma invece è stato tra i primi Paesi a votare, destinando il 31% e oltre delle preferenze al neonato Brexit Party e alla sua proposta di Brexit senza accordo. Ora il neoeletto Parlamento dovrà eleggere il nuovo presidente della Commissione europea e il Consiglio europeo dovrà nominare il prossimo presidente della BCE: si stanno quindi per giocare i futuri equilibri politici del Vecchio continente, e soprattutto le strategie monetarie e fiscali dell’Unione. In ballo ci sono forti interessi politici nei confronti dell’apertura ai mercati esteri: posizioni diverse riguardanti la limitazione delle importazioni dalla Cina, la ricerca di rapporti commerciali più stretti con gli Stati Uniti e le sanzioni contro la Russia.

I rischi delle politiche protezionistiche
Nello stesso tempo, gli effetti di un’escalation protezionistica portata avanti dagli Stati Uniti potrebbero essere significativi sia per le economie più direttamente coinvolte, sia a livello globale, in considerazione degli impatti sulla fiducia degli operatori e sulle catene del valore. Per esempio, se Washington decidesse nel corso del 2019 di imporre un dazio del 25% su tutti i prodotti provenienti da Pechino e sulle importazioni di autoveicoli dal mondo, le ripercussioni negative colpirebbero l’intero sistema del commercio internazionale. Le esportazioni italiane di beni verso il mondo aumenterebbero più lentamente (-0,2 punti percentuali nel 2019 e -0,6 p.p nel 2020), con impatti ancora più marcati per le nostre vendite verso gli Stati Uniti (-0,7 p.p. nel 2019, -1,1 p.p. nel 2020). A questo vanno aggiunti gli effetti di ulteriore rallentamento che una simile escalation potrebbe avere sull’economia cinese (con conseguenze a cascata su altre economie emergenti), aggravando ulteriormente l’impatto sulle esportazioni italiane complessive, che diminuirebbero di 0,8 p.p. nel 2019 e 1,7 p.p. nel 2020.
Nel frattempo, la Bank of England ha stimato che una guerra commerciale globale in cui tutto il mondo alza i dazi di circa 10 punti percentuali sottrarrebbe in tre anni circa il 2,5% alla crescita del PIL.
Infine non è da sottovalutare l’eventuale rallentamento della Germania, prima geografia di destinazione delle nostre merci. Una frenata più marcata del previsto influenzerebbe in maniera negativa l’export italiano.

Il ruolo delle startup innovative
Intanto, buone notizie arrivano dal fronte interno. Per esempio, per il decimo mese consecutivo l’export italiano all’interno dell’Ue a 28 ha segnato un tasso di crescita tendenziale positivo, realizzando un +2,2% durante lo scorso mese di marzo. Anche nell’ottica congiunturale la dinamica è favorevole: rispetto a febbraio, infatti, il valore delle esportazioni italiane nell’area (opportunamente destagionalizzato) ha visto un incremento dello 0,9%.
La bilancia commerciale dell’Italia con l’Unione europea ha registrato, così come avviene da inizio anno, un attivo: a marzo il surplus si è attestato, infatti, a oltre 1,2 miliardi di euro, con un ampliamento di 528 milioni rispetto all’avanzo realizzato nello stesso mese del 2018.
Da notare anche che, nel primo trimestre del 2019, le startup innovative italiane hanno superato per la prima volta quota 10.000, assestandosi precisamente a 10.075 al 31 marzo.
Il loro ruolo è sempre più marcato, rappresentando ormai il 3% di tutte le società di recente costituzione, e coinvolgendo oltre 55.000 soci e addetti. Si tratta tipicamente di imprese giovani: oltre a essere tutte costituite da meno di 5 anni, le startup presentano almeno un socio under 35 nel 42,9% dei casi, dato nettamente superiore rispetto al 33,7% registrato tra tutte le neo-imprese “non innovative”. Altra caratteristica saliente è la loro appartenenza alla categoria delle micro-imprese. Solo 4 startup su 10 (4.271) hanno almeno un dipendente, e anche queste ultime presentano in media non più di 3,1 addetti ciascuna, contro i 5,6 delle altre imprese di recente costituzione.