Industry 4.0: risultati, tendenze, agevolazioni

Quanto è stato fatto e quanto c’è ancora da fare perché Industry 4.0 diventi una realtà concreta e condivisa? Ne parliamo con il comitato tecnico scientifico di “Controllo e Misura”, toccando subito un aspetto chiave: si tratta di rivoluzione o evoluzione?

a cura della redazione

Dopo mesi e mesi di evangelizzazione sulla necessità delle aziende italiane di conformarsi a Industry 4.0, è possibile avere un’idea più o meno completa di quello che sta succedendo sul mercato nostrano? In termini di nuove tecnologie, agevolazioni fiscali, e soprattutto di adeguamento ai nuovi dettami. L’impresa non è facile ma, anche se siamo in una fase embrionale, dei risultati cominciano a vedersi. Ne parliamo con i membri del comitato tecnico scientifico di “Controllo e Misura”, a cui abbiamo posto una serie di domande. Possiamo intanto darvi come anticipazione una certezza: c’è ancora molto da fare.

C’è stato nell’anno appena concluso un impatto concreto di Industry 4.0 sulle tecnologie di strumentazione e di automazione? O siamo ancora troppo agli albori per avere un quadro generale realistico?
Gli estensori del progetto tedesco Industrie 4.0 scrivono che “le tecnologie per l’industria 4.0 sono ancora nella loro infanzia”. L’Industrial Internet Consortium (IIC), che sta pilotando le applicazioni industriali della Internet of Things, afferma che “c’è ancora molto lavoro da fare per ottenere un livello di comunicazione soddisfacente”.
A livello normativo il gruppo di lavoro congiunto JWG21, che la ISO e la IEC hanno attivato sullo “Smart Manufacturing”, sta ancora animatamente discutendo su cosa significhi “Smart Manufacturing”. In sintesi, non siano in vista di “nuove” tecnologie rivoluzionarie per la fabbrica. Ogni nuova tecnologia si è affermata attraverso un lento e faticoso sviluppo che nel tempo si cristallizza in una soluzione condivisa. Quindi per il futuro dovremmo aspettarci solo strumenti migliori, meno costosi e più semplici, sperando in una maggior cultura condivisa. Industry 4.0 quindi più che una rivoluzione è una evoluzione. Nell’automazione di processo stiamo assistendo alla iniezione e al potenziamento di funzionalità di connettività e di elaborazione/presentazione dati. Di aziende che stanno innovando ce ne sono, ma la conoscenza di Industry 4.0 e delle possibilità che può offrire è ancora scarsa.
Se proprio vogliamo parlare di un impatto concreto, lo possiamo trovare a livello finanziario più che in una reale trasformazione dei modelli di business.

Il mercato sta rispondendo in modo flessibile ai cambiamenti in atto, oppure mostra delle resistenze? Ci sono settori più propensi di altri ad abbracciare la digitalizzazione?
Molte aziende italiane utilizzavano da tempo, alcune da oltre un decennio, quelle che il Piano Industria 4.0 definisce “tecnologie abilitanti”. Per queste aziende il Piano non ha portato nulla di nuovo ma è stato un efficace strumento finanziario.
Altre invece hanno dovuto revisionare le prassi aziendali, aggiornare i sistemi di automazione, aumentare la sensorizzazione delle macchine, sviluppare nuovi strumenti software. Per loro il Piano è stato senz’altro utile. Alla base, in tutti i settori, c’è la voglia di apprendere nuove tecnologie, di migliorare il prodotto, di capire i vantaggi derivanti da un’automazione più spinta e integrata.
In aggiunta, il Super e l’Iper Ammortamento rappresentano incentivi interessanti per procedere a revamping, espansioni e miglioramenti. Tuttavia alcune resistenze rimangono: l’esasperazione delle connettività comporta un’apertura alle reti che si allarga al problema della sicurezza informatica; l’elevata dose di integrazione tra sistemi multi-vendor vede un gap tra “connessi” e “integrati” colmabile solo attraverso persone dalle competenze distribuite e trasversali.
Si sta cercando quindi di fare un passo avanti, integrando le operazioni di produzione con le altre operazioni dell’impresa, dalla logistica all’organizzazione del lavoro, all’assistenza post-vendita e così via.
Ci sono esempi incoraggianti, ma c’è ancora molto da fare, soprattutto a livello di formazione del management e del personale.

Dopo la prima fase di diffusione dei nuovi precetti di Industry 4.0, si può già prevedere quali saranno le tendenze future, in ambito sia tecnologico sia di business model?
In questa fase preliminare, lo sforzo comune è quello di definire un “modello di riferimento”: si sta cercando di standardizzare una struttura dati capace di contenere tutte le informazioni utili per interagire (ad esempio con una macchina) in tutte le fasi del suo ciclo di vita a seconda degli interessi specifici del soggetto interagente (che può anche essere un’altra macchina).
Il primo modello di riferimento è quello tedesco, chiamato RAMI 4.0, costituito da una matrice tridimensionale che identifica “quando” nel ciclo di vita un dato si rende utile, “dove” cioè a che livello funzionale della fabbrica, e “per chi” ovvero i soggetti interessati al dato. Tra le tendenze già identificabili: la diffusione di smart sensor e protocolli wireless, gli strumenti hardware e software per la sicurezza informatica, le tecnologie di virtualizzazione, la diffusione di OPC-UA come standard di condivisione dati contestualizzati, gli algoritmi di Data Analytic per l’estrazione dai Big Data di informazioni utili per il controllo e la gestione del processo produttivo, i pacchetti di integrazione con i laboratori, le piattaforme (MES) e le applicazioni di gestione della produzione e interfacciamento coi sistemi gestionali.
Per quanto riguarda il business model, un trend fondamentale riguarderà la flessibilità, per poter rispondere immediatamente alle esigenze del mercato.
Quindi, assisteremo probabilmente alla nascita di startup di piccole dimensioni, mentre le realtà più grandi creeranno nuove business division più snelle.

Cosa è stato fatto fino a ora in tema di agevolazione fiscale, e su cosa si dovrebbe mirare in particolare per dare un aiuto sempre più tangibile alle aziende?
Il meccanismo di incentivazione del Piano Nazionale ha sicuramente aiutato gli investimenti in macchinario (Ucimu parla di un +86% sul venduto in Italia del quarto trimestre) e ha dato una scossa a un mercato asfittico, ma allo stesso tempo ha mostrato limiti ed errori. Il balletto delle date di termine degli incentivi, i modelli di certificazione pubblicati a metà dicembre inoltrato, il sovrapporsi e l’intrecciarsi di strutture per il trasferimento tecnologico e la ricerca creano diffidenza e confusione.
Detto questo, qualche effetto positivo si sta vedendo. Bisognerebbe mantenere gli incentivi e renderli ancora più allettanti per chi introduce miglioramenti reali e misurabili nel suo sistema produttivo.
Basta guardare cosa accade in Germania. Là si sono spinti due aspetti trascurati dal Piano Nazionale italiano: lo sviluppo delle nuove tecnologie, e dei nuovi prodotti/servizi. Industria 4.0 finanzia l’utilizzo delle tecnologie esistenti, ma non aiuta lo sviluppo (o almeno il monitoraggio) di quelle che saranno le vere tecnologie della futura fabbrica 4.0.
Tra qualche anno rischiamo di dover acquistare le tecnologie dell’automazione all’estero. Inoltre, il Piano Industria 4.0 non supporta lo sviluppo di nuovi prodotti sensorizzati e connessi, né chi intende lanciare servizi basati su tecnologie 4.0. Non solo, dunque, bisogna fare meglio ciò che abbiamo sempre fatto, ma anche cose nuove che possano offrire i benefici della digitalizzazione. In aggiunta, le imprese dovrebbero essere incoraggiate non solo ad acquistare nuovi macchinari, ma soprattutto a fare rete, a entrare in hub di innovazione, ad allearsi per affrontare nuovi mercati, a partecipare a progetti di ricerca e sviluppo internazionali.